Abbiamo già scritto di quella domenica in cui tutti e quattro andammo a fotografare una centrale abbandonata, a cui Daniele faceva la corte da un po’ di tempo. Ma non vi abbiamo detto tutto di quel giorno. A due due passi da li, scoprimmo una grande area collinare con tre macchine escavatrici gigantesche che ci attendevano in tutto il loro dormiente splendore. Dopo la visita accurata alla centrale, effettivamente eravamo un po’ stanchi ma data la scoperta, ci è sembrato doveroso attraversare il buco sulla rete e farci una bella camminata in un lungo sterrato per andare ad immortalare quei bei giganti arancioni. Elena e Daniele dopo qualche foto hanno desistito e son tornati indietro, mentre io e Deborah felici come bambini siamo entrati prima in quella più piccola per un giro veloce e Poi in quella più grande per una vera ispezione da cima a fondo.
Nella prima escavatrice siamo riusciti ad entrare solo nella cabina di comando da dove abbiamo visto il mondo li intorno attraverso i vetri ormai macchiati dal tempo e la mia mente come spesso accade ha immaginato le dure giornate lavorative degli operai intenti a lavorare il terreno, le urla da dentro a fuori “tira la leva, abbassa la scala... oppure levati di li che che scarico le pietre di scarto”. La storia infatti narra che nel pleistocene l’area era occupata dal bacino di un lago. La vegetazione lacustre si depositò e col passare dei secoli andò a formare dei giacimenti di lignite che verso la fine dell’800 venne sfruttata in particolare dalle acciaierie per la produzione negli altiforni. Dopo la guerra e dopo la distruzione della miniera da parte dei tedeschi in ritirata, nel 1955 venne commissionata la costruzione di una centrale elettrica a carbone che sfruttasse la lignite estratta in loco. La miniera e la centrale sono rimaste in funzione fino al 2001 quando, per esaurimento della lignite, la miniera è stata abbandonata e la centrale riconvertita a metano. Il tour in quella più piccola è stato davvero veloce e noncuranti del fatto che Elena e Daniele ci stessero aspettando, decidiamo di fare un giro veloce anche in quella più grande delle tre. Pochi passi e stavamo sotto a quell'ammasso di ferro mastodontico. Guardandolo dal basso verso l’alto ci siamo davvero sentiti piccoli. Tiriamo giù la scala che stava ripiegata su se stessa e con un balzo eravamo sopra, come gli operai di cui ho parlato prima. Li c’era davvero tanto da fotografare ed infatti ci siamo davvero sbizzarriti.
Tra uno scatto ed una chiacchiera ci siamo resi conto che eravamo arrivati a metà tragitto e già da li, tutto quello che vedevamo intorno ci sembrava così piccolo. Decidiamo però di arrivare fino al punto più alto e ad ogni passo l’aria che ci sfiorava il viso e il silenzio che regnava rendevano l’atmosfera davvero magica, interrotta però dal suono del cullare: era Elena che ci chiedeva se eravamo diventati metti perché da lontano vedeva sporgerci per fare le nostre foto. Spezzato quel momento così magico, ci siamo resi conto che si era fatto davvero molto tardi e abbiamo raggiunto i nostri amici. Saliti in macchina ci siamo diretti verso casa; una bella domenica d’inverno stava così volgendo al termine con l’emozione di una nuova scoperta.
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Stefano T.
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