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Immagine del redattoreProspettive Nascoste

Il gigante dei bambini

Ormai è qualche mese che gestiamo questo blog, condividendo con voi i luoghi abbandonati che ci capita di trovare in giro o che, più spesso, andiamo a visitare dopo le accurate ricerche di Elena e Daniele: i più esperti del gruppo per queste cose. Io e Deborah, invece, quando ci avventuriamo per scattare fotografie finiamo inevitabilmente per imbatterci nei più improbabili imprevisti che non sto qui a dire. Da quando, più o meno, abbiamo creato “prospettive nascoste” invito i miei amici a visitare uno dei miei luoghi del cuore, scoperto circa un anno e mezzo fa, ma capisco che non sempre è facile conciliare le giornate frenetiche di tutti e quattro; così, una mattina di inizio autunno, ho scritto sulla nostra chat che sarei tornato a visitare il vecchio orfanotrofio che è stato anche parte della scenografia di un mio cortometraggio intitolato “solo un uomo” (che si può vedere su YouTube) . Una struttura imponente alta cinque piani, che troneggia sulla provinciale sperduta tra le verdi colline umbre.



Dopo meno di un’ora, con Deborah, ci siamo rotrovati davanti a quello splendore, armati entrambi delle nostre macchine fotografiche. Varchiamo la porta, camminiamo per qualche metro sopra un cumulo di macerie e ci imbattiamo in quella che, un tempo, doveva essere la cappella dello stabile; scorgiamo i resti di un malconcio altare e, poco più in là - con grande stupore -, l'occhio “cade” su una Fiat Tipo parcheggiata proprio nel rudere. Ebbene sì: una macchina e probabilmente rubata; la cosa più bizzarra è che non ho mai capito come sia potuta finire lì dentro, visto che per accedere alla struttura ci sono solo piccole porte. La cosa, peró, che più ci colpisce - oltre la macchina, ovviamente - è un vecchio passeggino: chissà quanti bambini ha cullato prima di diventare un oggetto dimenticato?



Dopo aver scattato foto approfittando di ogni possibile angolazione, saliamo al primo piano dove troviamo tanti stanzoni, ormai quasi del tutto vuoti; possiamo supporre che fossero adibiti a classi del convitto gestito dalle suore: ultima destinazione d'uso prima dell'abbandono. La storia della struttura è avvincente: sembra che intorno al XIV secolo fosse un piccolo tempio, di cui però non si conserva traccia; nel 1600 diventò un convento di frati per poi, qualche secolo dopo, essere convertito a stazione climatica; infine, dai primi anni del 900 fino alla chiusura avvenuta nel 1974, ospitó centinaia e centinaia di piccoli orfani e figli di genitori in povertà. Soltanto un braccio della struttura, più nuovo, è stato utilizzato fino agli anni 90 come sede di una scuola professionale. Ma procediamo con la perlustrazione. Il secondo piano ha una serie di locali molto simili a quelli del piano di sotto e si snoda tra i corridoi che fanno perdere totalmente la cognizione del tempo e anche del luogo stesso, tant’è che, tutte le volte che l’ho visitato, non sono mai riuscito a capire in quale parte dello stabile mi trovassi. Il quarto piano è quello che ci ha riempito di soddisfazione e nello stesso momento ci ha emozionato di più: davanti ai nostri occhi si sono palesate quelle che dovevano essere le camere da letto dei bambini: ora non resta che qualche pezzo d’arredamento usurato da tempo, polvere e intemperie. Le giornate autunnali durano poco, si sa, e non siamo riusciti a finire il giro, ma prima di andarcene abbiamo avuto la fortuna di fotografare il locale adibito ad infermeria, con ancora all’interno molti flaconi di medicinali pastiglie e bende di vario genere; ed ancora: una stanza con qualche giocattolo abbandonato a se stesso, dopo la gioia di aver allietato le giornate degli ospiti di questo luogo così austero.



Scendendo le scale, un timido raggio di sole ci accompagna all'uscita, illuminando, quasi con riverenza, la punta di una scarpetta da ballo che abbiamo messo in risalto poggiandola sopra un corrimano: la luce sembra accarezzarla dolcemente come a voler risvegliare i sogni della bambina che tanti anni fa l’ha indossata: “chissà se poi è diventata una ballerina?” ho chiesto a Deborah immaginando una bambina dal corpo esile. Molte altre domande ancora mi vengono in testa ogni volta che ripenso all'orfanotrofio abbandonato lungo la provinciale, tra le colline, della mia verde Umbria e spero di tornare con tutta la mia squadra di amici al completo.


Stefano T.



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