Il viaggio che vi sto per raccontare risale ad un paio di anni fa. Non esisteva ancora (purtroppo, altrimenti sarebbero di certo venuti con me!) il nostro gruppo di prospettive nascoste, ma visto che oggi ricade il 34 anniversario del più grande disastro nucleare della storia, mi è sembrato doveroso proporre ai miei amici questa uscita.
Penso che nella vita sia fondamentale seguire le proprie passioni. Io ne ho due: la fotografia e i viaggi. Amo sentire profumi diversi da quelli di casa, osservare la vita in contesti molto lontani dai miei e cerco per quanto possibile di immortalare e fermare nel tempo le mie emozioni. A proposito di luoghi ed eventi , sin da piccolo (non saprei spiegare il perché) sono sempre stato incuriosito dalla tragedia dovuta all'esplosione della centrale nucleare di Chernobyl. Negli anni ho sempre reperito maggiori informazioni sull'argomento e con internet la ricerca si è fatta via via più meticolosa e ricca. Già intorno al 2000 iniziavo a trovare fotografie scattate da avventurieri che illegalmente accedevano nella “zona” e particolarmente a Pripyat, la cosiddetta città dell’atomo, costruita nel 1970 a soli 3 Km dalla centrale nucleare, per tutti i lavoratori della centrale e le loro famiglie. Un’ambita città di 50.000 abitanti con standard altissimi per l’epoca, che venne completamente evacuata tra il 26 e il 27 aprile del 1986 e mai più abitata.
- Zona: la chiamo cosi perché dopo il disastro venne istituita una “zona di esclusione” (nel solo territorio Ucraino) controllata militarmente, ad anelli concentrici di cui il più stretto a 30 chilometri dalla centrale. Al suo interno furono evacuati tutti i villaggi (oltre un centinaio) presenti all'epoca del disastro, tranne la cittadina di Chernobyl, che nonostante il nome non aveva risentito troppo degli effetti negativi dovuti all'esplosione –
Negli anni poi, con l’avvento di Google Maps, ho iniziato a guardare dall'alto quei luoghi che sempre più mi incuriosivano e facevano sorgere mille domande sul come potessero essere “dal vivo” e le sensazioni che avrei potuto provare. Fino a quando, in una sera invernale come tante, ho letto un post su Facebook che parlava di un viaggio di una settimana a Chernobyl e nelle zone limitrofe, previsto per fine gennaio dell’anno successivo. Be l’occasione fa l’uomo ladro e subito ho mandato una mail per chiedere info e preso dall'euforia ho prenotato senza pensarci troppo.
Cercherò di raccontarvi brevemente il viaggio e soprattutto la visita alla città Pripyat uno dei simboli di questo disastro. Sarà certamente più difficile descrivere le forti emozioni che ho provato durante tutto il viaggio. Pochi giorni prima di partire durante la preparazione dei bagagli, nel momento un cui ho controllato il mio contatore geiger, sono stato assalito da un dubbio. Chissà se la scelta di partire era stata giusta. Come ben sapete girano molte leggende e storie sulla zona e sulla sua pericolosità. Comunque in men che non si dica è arrivato il fatidico giorno della partenza e in meno di 3 ore di aereo mi sono ritrovato a Kiev, fredda e innevata. Al mattino seguente arrivo del resto del gruppo in aeroporto e partenza immediata per Chernobyl.
Un paio d’ore di viaggio separano la capitale Ucraina da Dytiatky il primo check-point che segna l’ingresso nella zona. Da subito sembra di essere tornati indietro nel tempo. Controlli sui passaporti e documenti per l’ingresso. Dopo un’altra mezz'ora arriviamo a Chernobyl per scaricare velocemente i bagagli e partire rapidamente verso la nostra prima tappa.
- Chernobyl appare oggi come una cittadina quasi deserta (conterà all'incirca 500 abitanti) in uno spazio che un tempo ospitava più di 10,000 abitanti. Basta un veloce giro su Google Maps (Chernobyl vista dal satellite di Google) per vedere che quasi tutta la cittadina è invasa dalla foresta tranne sulla strada principale dove sorgono la maggior parte degli edifici abitati. Sensazioni strane alla vista di tutto questo abbandono, che non so descrivere. Di notte Chernobyl era buia con nessuna luce stradale, che sarebbe stata comunque inutile per me visto il coprifuoco imposto alle 22.00 per i visitatori, con la chiusura degli accessi all'hotel (vi ricordo che l’intera zona di esclusione è sotto il controllo militare)-
Altro check-point e dopo qualche decina di minuti passati a guardare dal finestrino la potenza della natura che si sta riprendendo tutti i suoi spazi (molti villaggi si intravedono all’interno di quella che ora è una foresta), una rapida occhiata alla centrale e giungiamo alle porte di Pripyat. Ecco proprio in questo momento uno dei miei sogni si stava per avverare. Per anni ho guardato e sognato quel posto di blocco.
L’ingresso in città è ormai quasi anonimo, gli alberi nascondono bene la vista dei palazzi, ma dopo pochi metri percorsi in un dedalo di strade ecco che con prepotenza esce fuori l’imponenza dell’architettura in stile sovietico. Decine di palazzi allineati lungo la strada e una voglia matta di esplorarli tutti! Avendo poco tempo, prima dell’arrivo del buio, diamo un’occhiata alle “attrazioni” principali come il famoso bar sul porto, la piazza e l’ospedale, posti poi rivisitati con più calma anche il giorno seguente, insieme a diverse scuole, asili nido, attività commerciali, luoghi di cultura, impianti sportivi ecc. Ormai tutto è avvolto da un assordante silenzio. Passeggiare in una città completamente deserta, spolverata dalla neve, con il vento che produce infiniti rumori tra alberi, finestre e porte che in lontananza sbattono è un’esperienza fuori dal comune. L’istinto è quello di cercare con lo sguardo qualcuno affacciato in una nelle migliaia di finestre sulla strada. Risuonano i nostri passi, spesso sui vetri rotti, qualche timida parola detta da uno del gruppo o gli scatti delle reflex. Ma credetemi il primo impatto lascia la voglia di non parlare. Ancor più drammatico è visitare l’interno degli edifici. Negli appartamenti è rimasto poco o nulla (negli anni successivi all'evacuazione, c’è stato un vero e proprio saccheggio della città), nelle scuole si trovano spesso aule allestite come se gli studenti dovessero tornare.
Anche l’ospedale è ancora ricco di dettagli, ma i segni dell’abbandono anche qui, come in tutti gli altri luoghi della città sono più che evidenti. Gli asili sono probabilmente le strutture visitate che più mi hanno sconvolto. Vedere ancora li le sedie e i tavolinetti, i giochi e i lettini accatastati, mi ha commosso. Chissà quanti bambini, ignari del loro destino, stavano giocando mentre la centrale già bruciava. Bambini che all'uscita si saranno salutati come sempre, in attesa di rivedersi il giorno dopo nella normalità di una vita brutalmente interrotta dalla diffusione delle conseguenze dell’incidente nucleare e dalla successiva evacuazione. Chissà quante amicizie quanti amori e quante vite sono state spezzate dall'impotenza umana di controllare un evento del genere.
Potrei continuare a scrivere per ore. Dell’oblio trovato nei vari villaggi abbandonati oppure dell’immensa antenna radar “DUGA” con annesso villaggio “segreto”, della visita all'interno della centrale nucleare di Chernobyl, dei Samosely (abitanti che illegalmente sono rientrati nelle loro abitazioni e che attualmente vivono in una situazione di quasi totale isolamento dal mondo). Magari lo farò in qualche altra uscita di questo blog.
E’ stato un viaggio fuori dal comune. Era la prima volta che viaggiavo senza conoscere nessuno. Le emozioni provate durante quella settimana nella zona di esclusione sono difficili da raccontare e sono state difficili da metabolizzare. Pensate che la prima volta che ho mostrato le mie foto (che sentivo come intime) è stato dopo circa 7 mesi, in una prima mia mostra fotografica sull'argomento che è stata poi anche l’occasione per raccontare un po’ il mio viaggio, cosa che prima avevo fatto solo con pochissime persone. Avevo in mente di tornare quest’anno nella zona, ma il problema attuale per ora non permette di fare questo tipo di programmi.
Purtroppo dall'inizio di aprile, la zona è spazzata da violenti incendi (probabilmente di natura dolosa) favoriti dalla siccità. Come 34 anni fa i vigili del fuoco combattono di nuovo contro il fuoco nella zona di esclusione... Speriamo che la situazione torni presto sotto controllo. A decine sono i villaggi già completamente distrutti dal fuoco, testimonianze perse di un tempo passato e di un disastro che ha segnato più o meno gravemente la vita di centinaia di migliaia di persone sia nell'ex Unione Sovietica (maggiormente l’attuale Ucraina e la Bielorussia) che in secondo luogo qui in Europa a causa della famose "nube radioattiva".
Non so ancora quando, ma prima o poi tornerò a Chernobyl.
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Daniele F
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